di Stefano Chiarato
Driiin… driiin…
Squilla il telefono. Rispondo: “Pronto?”
“Ciao Ste, Come va?”
“Oh! Ciao Franz…”
Dopo i soliti convenevoli di rito, si passa a parlar di cose serie.
“Allora? Sabato si va in montagna, c’è anche Filo. Ci sei?” mi chiede Franz.
“Volentieri! Avete già un itinerario?” domando a mia volta.
“Non ancora, ma basta prendere in mano una cartina e lo si trova.”
Un’escursione non inizia quando ci si infila gli scarponi e si comincia a camminare, ma inizia molto prima: quando, sul tavolo di casa, si stendono le cartine e le guide con gli itinerari. Si studia il percorso, i tempi di percorrenza e li si confronta col tempo a disposizione, i punti d’appoggio, ci si informa se i rifugi sono aperti o chiusi e portarsi di conseguenza i viveri necessari, le condizioni meteo… Insomma, si cerca di lasciare al caso il meno possibile.
“Ma chi me lo fa fare…” è il primo pensiero che mi passa per la mente, quando un sabato mattina di metà settembre, alle cinque del mattino suona la sveglia. E’ ancora buio.
“Ma chi me lo fa fare…” ma è solo un attimo, poi sono subito in piedi. Certo, gli occhi non vogliono saperne di stare aperti, ma è come se dovessi rispondere ad una chiamata. La montagna mi aspetta. E’ il mio richiamo della foresta. Devo andare!
Una colazione frugale. L’incontro con gli amici; saluti e abbracci. Poi Franz punta il muso dell’auto in direzione nord e si va. Via!
In macchina si parla del più e del meno, delle ferie appena trascorse, del lavoro, di calcio, di musica… Ma soprattutto di montagna.
Sono da poco passate le otto, quando parcheggiamo la macchina oltre l’ultimo paese della valle. Lì finisce la strada; c’è una piccola piana e c’è un campeggio in cui c’è solo una piccola roulotte (chissà che impresa portarla fin quassù) e una tenda, attorno alla quale si muovono alcuni ragazzi, anche loro, come noi, in cerca di natura selvaggia. Siamo poco sopra i mille metri di quota fa freschino ed è molto umido.
Fervono i preparativi per l’escursione: gli scarponi, lo zaino, la macchina fotografica… soppeso lo zaino ed è già bello pesante, prendo in mano la giacca a vento, guardo i miei compagni e chiedo mostrandola loro: “Cosa faccio, la porto?”
“Ma no.” Risponde Franz con sufficienza e poi: “Hai già il pile…”
“Io la lascio qui, nel baule della macchina” Aggiunge Filo.
Faccio anch’io così. Poi guardo il cielo: c’è qualche nuvola che si è posizionata sulle cime circostanti e ne occulta la visione, ma si riesce a vedere, al di sotto, qualche lingua di neve.
“Però la mantellina per la pioggia la porto.” Dico rivolgendomi a loro.
“Ah, sì,sì! La porto anch’io.” Dicono quasi in coro.
Finalmente ci mettiamo in cammino; il sentiero si addentra nel bosco. Poco dopo incontriamo una vecchietta, tutta vestita di nero, che porta sulle spalle una fascina di legna. Scende con passo regolare,non molto veloce. E’ mattina presto, ed è già stata a far legna!
“Buongiorno!”
“Buongiorno!”
Dopo averla oltrepassata, mi giro a guardarla e cerco di indovinarne l’età: boh! Molti!
Allora Filo mi dice scherzando: “E tu hai lasciato giù la giacca a vento per non portarti il peso!”
“Ah! Perché tu no?” gli rispondo. “E poi non era una questione di peso, ma di spazio!”
Proseguiamo il cammino e veniamo investiti da un intenso profumo di ciclamini. Io li voglio vedere e mi fermo, mi guardo intorno e non li vedo. Faccio un paio di passi ed eccoli lì! Proprio dietro una grossa roccia. Mi fermo, tiro fuori la macchina fotografica e per fare la foto migliore che possa fare, non esito a sdraiarmi per terra incurante del terreno reso umido dalla pioggia di qualche giorno prima. Gli altri due intanto, che sono andati avanti, si fermano a guardarmi e Franz dice: “Peccato, poi, che quando guardi le foto non si possa sentire anche il profumo.”
Già, è proprio vero.
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