di Alessio Pracanica
“L’uomo che è venuto da lontano,
ha la genialità di uno Schiaffino.”
(Paolo Conte- Sudamerica)
Arturo Evaldo Fruimiento Do Santos non era un semplice fuoriclasse.
La storia del calcio d’altronde è zeppa di numeri dieci dal dribbling ubriacante, di mezze punte dal tocco fatato, di fantasisti con una lucida visione di gioco e di trequartisti implacabili su punizione.
Arturo era molto più di questo.
Un frullato di Pelè e Maradona, con la genialità di Schiaffino, l’estro di Eusebio, la raffinatezza di Di Stefano, la potenza di Beckenbauer e le geometrie di Crujff.
Alla verde età di venticinque anni aveva già in bacheca quattro palloni d’oro, sette scudetti, due Champions League e una Libertadores.
E duecentoottantasette goal in trecentoquindici partite ufficiali, tra nazionale, campionati e coppe.
Come molti calciatori del suo paese, era nato in una famiglia povera, in un quartiere di catapecchie situato nella periferia della grande capitale.
Cosa di cui i giornalisti di tutto il mondo gli erano particolarmente grati, perché permetteva loro di imbastire un’infinità di articoli sull’infanzia disagiata del grande campione, sulla miseria come stimolo alla dedizione e sullo sport come occasione di riscatto per i miseri e i derelitti.
Ultimo di dodici fratelli, Arturo un bel giorno spalancò alla stampa le porte della sua immensa villa, situata in un quartiere esclusivo di una nota località balneare, permettendo così di intervistare tutti i membri della sua numerosa famiglia.
- Certo che sono orgogliosa di lui, ma ho sempre paura che quei difensori gli facciano male. - disse mamma Rosa continuando a sbattere lo zabaione dentro un enorme ciotola - Alcuni sono dei ragazzoni belli robusti, mentre il mio Arturinho è sempre stato così gracile. Pensi lei che al provino con il Fluminense l’avevano scartato. Un perna de pau, disse l’allenatore, una gamba di legno e stava per mandarlo via. Per fortuna che mio marito … -
- … l’ho preso per il collo e ho cominciato a stringere. - ridacchiò Paco do Santos, padre di Arturo e marito di Rosa, indifferente alle occhiatacce della moglie - Quello non era un allenatore, ma un venditore di tapioquinha. E poi era un gran vigliacco. Se l’è fatta addosso e dal giorno dopo mio figlio era titolare nella squadra primavera e a fine stagione capocannoniere. Ventidue goals in ventisette presenze. Sempre in campo, tranne tre settimane fermo per il morbillo. Perna de pau di sua sorella! -
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